La voce e il tempo


Il periodico della Diocesi di Torino “La Voce e il Tempo” ha dedicato una inetra pagina al progetto “Cucine Solidali” xon un articolo di Enrico Panero e con una intervista dello stesso gironalista a Andra Chiuni



Solidarietà


I visi con mascherina della foto qui accanto sono protagonisti di un’iniziativa probabilmente unica in Italia, sicuramente di grande valenza sociale. Si tratta di cuochi, fornitori, volontari e beneficiari delle «Cucine solidali», un progetto nato a Torino durante il primo lockdown del marzo 2020. Per non sprecare le riserve alimentari e le capacità professionali, quando l’attività di ristorazione era stata forzatamente fermata, alcuni ristoranti cittadini avevano deciso di continuare a cucinare non più per la clientela abituale, assente, ma per le molte persone in gravi difficoltà. Si è così creata una rete che ha iniziato a fornire quotidianamente pasti di qualità consegnati attraverso il volontariato alle persone senza dimora in strada e ad alcune mense sociali cittadine. Un’iniziativa che presenta aspetti innovativi. La messa in rete e l’autogesione, innanzitutto, perché molti ristoranti hanno storicamente donato cibo a persone in difficoltà, ma un’organizzazione autonoma di professionisti della ristorazione che turnano per cucinare pasti da consegnare ogni giorno ai poveri della città non si era mai vista. Una forte valenza simbolica, ma soprattutto pratica: da marzo a dicembre sono stati forniti più di 40mila pasti, con una media di oltre 150 pasti al giorno e punte di 500.

Altro aspetto importante è stata la decisione di andare oltre l’emergenza e dare continuità all’iniziativa perché, dicono i protagonisti, «non ha senso cucinare per i propri clienti dimenticando chi è rimasto indietro». Con l’obiettivo di «colmare il divario tra abbondanza e scarsità», i ristoranti solidali dichiarano di voler «mantenere il contatto con la comunità», a dimostrazione che la solidarietà non è prerogativa di qualcuno ma vantaggio per tutti.

Enrico Panero


INTERVISTA – ANDREA CHIUNI, EXECUTIVE CHEF E COORDINATORE DEL PROGETTO CUCINE SOLIDALI

Qualità etica, non solo alimentare

Un gruppo di ristoranti torinesi cucina ogni giorno centinaia di pasti per le persone in difficoltà. Ne abbiamo parlato con Andrea Chiuni, executive chef dei ristoranti Tre Galline, Tre Galli e Carlina che coordina il progetto.

Com’è nata l’iniziativa delle Cucine solidali e chi comprende?

Durante il primo lockdown, a fine marzo, i titolari dei ristoranti per cui lavoro mi chiesero di riaprire una delle nostre cucine per sopperire alla crescente e improvvisa richiesta di pasti da alcune mense cittadine. Abbiamo poi sentito qualche nostro collega e soprattutto è stato fatto un appello su facebook della «guida dei 100 ristoranti di Torino» che ha amplificato la chiamata. Oggi la nostra rete è composta da 20 ristoranti: Carlina, Tre Galli, Tre Galline, Del Cambio, Spazio 7, Gaudenzio, La Limonaia, Eragoffi, Accademia Foodlab, Condividere, Du’ Cesari, M**Bun, Sestogusto, San Giors, Sovietniko, Magazzino 52, Fuzion, Vale un Perù, Osteria Rabezzana, Doubletree By Hilton Lingotto.

Come siete organizzati, quanti pasti quotidiani fornite e a quali organizzazioni sociali e di volontariato?

Io mi occupo di stilare i turni in base alle richieste delle mense. Mediamente un ristorante prepara 100 pasti alla settimana o con cadenza bisettimanale. Al momento forniamo complessivamente 1350 pasti a settimana, con una media di circa 200 pasti al giorno ma con punte di 300-400 in caso di esigenze particolari: nel giugno scorso abbiamo anche superato i 500 pasti alcuni giorni. Stiamo servendo la Comunità di Sant’Egidio, i cui volontari distribuiscono i pasti alle persone di strada tre volte a settimana, poi la mensa dei Frati Minori di via Sant’Antonio da Padova e i dormitori di via Arcivescovado 12C e del Centro Torinese di Solidaritetà (Cts) di corso Casale 396. Le consegne quotidiane sono effettuate dalla Croce Verde e dai Taxi Solidali.

Preparate i pasti a vostre spese o lavorate alimenti che vi sono forniti e cosa cucinate?

I pasti vengono preparati, salvo eccezioni, con le cose che abbiamo in casa. Abbiamo avuto un po’ di donazioni nel primo lockdown di esuberi di magazzino. Ora stiamo costituendo un’organizzazione per poter ricevere qualche donazione e gravare meno sulle economie dei ristoranti. Non esiste ancora un coordinamento nutrizionale sui menù, ma ci piacerebbe arrivarci. Ci sono indicazioni di massima, ma tendenzialmente ognuno cucina ciò che vuole anche perché nella rete ci sono ristoranti molto diversi tra loro: trattorie, fast food, etnici, «stellati» ecc.

Avete attivato una pratica importante di cittadinanza attiva e solidale. Cosa vi ha spinto a farlo e soprattutto a proseguire?

Durante il lockdown molte realtà a Torino si sono rese disponibili e anche per noi è stato così, abbiamo fatto ciò che ci viene meglio. Quando poi a giugno ci è stata data la possibilità di tornare a lavorare regolarmente ci siamo confrontati, constatando che l’emergenza era ancora in atto e non aveva senso terminare. Credo che in queste cose la fatica principale sia solo quella di iniziare, una volta che il sistema è in moto l’impegno è sicuramente minore dell’appagamento che si ha nello spirito.

Nel vostro Manifesto ambite a «costruire una gastronomia torinese di alta qualità etica»: cosa significa per la vostra attività?

Riteniamo che il ristorante oltre a concentrarsi sulla qualità delle preparazioni, della materia prima, della vita del proprio personale, dovrebbe anche essere attento alle esigenze della comunità locale. Ognuno di noi nell’esercizio della propria attività può fare ciò che meglio crede: vendere ai propri clienti pasti che magari costano come la spesa di una settimana di una famiglia normale o preparare cibi che per complessità necessitano di giornate di lavoro, tutto lecito perché la ristorazione non è nutrimento in senso stretto. Quello che ci accomuna è però la voglia di mantenere il contatto con la nostra comunità, con le esigenze di chi forse mai sarà nostro cliente, conoscere il valore di cucinare per tanti con poco e nel miglior modo possibile.