“Sul cibo, e in particolare sul nutrire i poveri”
Nel 1796 Benjamin Thompson, Conte di Rumford, scrisse il saggio “Sul cibo, e in particolare sul nutrire i poveri” in cui esamina la fornitura di sussistenza ai bisognosi sotto il profilo politico, sociale, economico e culinario, spaziando dalle gestione delle mense alle tecniche per la produzione di pasti (con tanto di ricette) fino a una considerazione -solo all’apparenza filosofica- dell’importanza del piacere come ulteriore ingrediente del nutrimento, e che in quanto tale deve essere garantito a tutti indipendentemente dalla “posizione” sociale.
Dall’incontro fra le istanze di un autore di fine XVIII secolo e le esperienze di alcuni rappresentanti di strutture operative sul territorio di Torino, fra le città più attive in ambito di volontariato e servizi sociali, è scaturito un confronto sulle molteplici sfaccettature e contraddizioni di aspetti della solidarietà poco indagati e ancor meno raccontati.
Questo dialogo immaginario è divenuto l’oggetto di un primo articolo pubblicato in forma ridotta su Album Cibo di Repubblica e che riportiamo qui in versione integrale, aprendo una ideale finestra dalla quale vogliamo iniziare a gettare uno sguardo diverso su questioni particolarmente attuali come quella degli ingredienti e dell’ insostenibilità del recupero , e quella del diritto al gusto come un diritto inalienabile della persona.
Soccorso alimentare: l’esempio a Torino
di Serena Guidobaldi
Anarchici che collaborano con frati che collaborano con ristoranti che collaborano con taxisti che collaborano con mercati che collaborano con volontari che collaborano con rifugiati che collaborano con servizi sociali [ad-lib].
Sarà per via di un sottosuolo fitto di labirinti e passaggi interconnessi che nel DNA dei torinesi c’è il fare rete, come se la fornitura di sussistenza sia davvero l’oggetto della loro prima preoccupazione. Va da sé quindi che per comprendere gli aspetti meno noti di un tema ampio come quello della solidarietà, Torino funga da sineddoche. Cucine Solidali è l’ultima delle tante iniziative in tal senso. Davide Dutto manda le foto senza specificare nomi e ruoli dei soggetti: “questi scatti sono l’interpretazione visiva del messaggio che Andrea Chiuni, lo chef che è promotore e coordinatore del progetto, ci tiene che si evidenzi: non il chi individuale, ma la Torino della ristorazione che ha fatto fronte comune scrivendo una nuova pagina della sua storia. Un modello che forse non ha pari altrove.”
Matteo Baronetto, chef del circuito, mette a fuoco anche un lato più pratico: “Lo sfruttamento di cucine e brigate esistenti ottimizza le risorse: non vanno creati nuovi luoghi né cercato personale perché si usa l’esistente cui viene richiesto di prodursi in uno sforzo collettivo. In un mondo egocentrico come quello della ristorazione, questa energia spontanea non è scontata e mi auguro che il movimento esca presto da Torino e contagi colleghi in tutta Italia.”
La cucina di Stefano Sforza ha lavorato in tutta la prima fase per le Cucine Solidali: “la mia brigata e io non siamo nuovi a questo tipo di percorso parallelo. Prima che fosse creato il circuito già eravamo in contatto con i frati minori del convento adiacente il ristorante, attivarsi non appena arrivato l’invito delle Cucine Solidali è stata la naturale conseguenza. Abbiamo avuto il sostegno di aziende che ci hanno fornito buona parte dei prodotti, e per altri ingredienti io per esempi mi sono rivolto ai miei abituali fornitori al mercato, dai quali ritiravo l’invenduto di fine giornata. Siamo organizzati in modo che ogni cucina lavora a turno secondo un calendario coordinato e comunicato di volta in volta, facendo sì che lo sforzo sia distribuito e il carico di lavoro gestibile anche quando le cucine torneranno a pieno regime.”
Istituire cucine pubbliche in tutte le città, dove i poveri verrebbero sfamati gratuitamente e gli abitanti industriosi del vicinato essere riforniti di cibo a un prezzo basso, darebbe grande sollievo.
Stefano Castello, educatore socio-culturale e cuoco, con esperienza ultra-decennale tra istituzioni cittadine, associazioni come Eco dalle Città, iniziative spontanee come Guarda Oltre, le neocostituita impresa sociale Gusto del Mondo: “Consegniamo pasti caldi ai senza fissa dimora nei luoghi dove stazionano, lavorando in parallelo con le mense. La macchina organizzativa e logistica è molto complessa: reperire e stoccare ingredienti, preparare, confezionare, distribuire; coordinare i volontari; mappare. Stiamo lavorando per coinvolgere le circoscrizioni, così da poter contare su una presenza istituzionale più forte e scambiamo costantemente dati con le altre realtà operanti sul territorio. Riceviamo e controlliamo tutte le segnalazioni, anche anonime, ogni settimana ridisegniamo la mappa dove si trovano i destinatari dei nostri servizi. Sono attività che richiederebbero un finanziamento regolare invece andiamo avanti a bandi, progetti e crowdfunding: aspetti amministrativi e burocratici che si traducono in ulteriore carico di lavoro.”
Quello nel consumo del cibo è forse il cambiamento più difficile da effettuare ma sono dell’opinione che potrebbe essere realizzato, con una corretta gestione.
Stefano: “Si cucina con il recupero ma tanti ingredienti vanno acquistati. Il recupero da solo non è sufficiente, e qui si apre un tema complesso che impatta sullo storytelling di chi fa passare il messaggio che si possono preparare 800, 1000 pasti soddisfacenti e bilanciati a livello nutritivo usando solo le eccedenze e gli scarti. È una narrativa alla quale piace credere ma distorce la realtà. Oltre al fatto che bisogna anche contare che il recupero è attuabile grazie al lavoro dei volontari. Non sarebbe economicamente sostenibile se si pagasse regolarmente il tempo di chi va a recuperare, e poi seleziona e trasforma una materia prima non facile da gestire. Ma questo discorso so bene che non emoziona tanto quanto l’idea di un miracolo dei pani e dei pesci 2.0”
Chiara Fiore cucina per Eufemia, fa molto altro per il Food Pride: “Pride è un acronimo, sta per partecipazione, recupero, inclusione, distribuzione ed educazione. Il progetto è multi-azione, il suo obiettivo è la riduzione della povertà alimentare attraverso non solo il recupero e la distribuzione di eccedenze e scarti alimentari, ma soprattutto con l’educazione, che a volte è vera e propria riappropriazione, dell’atto stesso del cucinare per ristabilire la relazione con l’ingrediente.”
Ippocrate scrisse che “qualunque cosa piaccia al palato, nutre”: circostanza da tenere in considerazione, il piacere di mangiare, un godimento di cui nessuno acconsentirà a essere privato.
Roberto Gramola, della mensa Spazio d’Angolo nel cuore di Borgo San Paolo: “C’è una differenza del gusto percepito da chi non ha fame e il gusto percepito da chi ha fame, ne consegue che la palatabilità e l’appetibilità non coincidono sempre con l’idea che ne abbiamo noi che mangiamo regolarmente e possiamo scegliere. Però il pensiero comune porta a scandalizzarci quando un destinatario della beneficienza si permette di esprimere una preferenza.”
Chiara: “È un aspetto strumentalizzato per fini politici, questo del piacere e del diritto al gusto. I titoli sui “poveri” che rifiutano un pasto è l’ennesimo esempio di post-verità circa una realtà più complessa fatta, come insegna Barthes, non solo di “sostanza” ma anche di “circostanza”. Il problema è che quando si pone la questione, spesso l’altra faccia della medaglia è la deriva buonista, dannosa tanto quanto la strumentalizzazione. L’argomento invece è ricco di sfumature e meriterebbe una indagine super partes.”
Roberto: “Sostanza e circostanza… una piccola cosa: siamo l’unica mensa che serve caffè, tè e l’inverno cioccolata calda. Un fine pasto che diamo per scontato, ma per chi viene qui, un’attenzione che crea un senso di compensazione.”
Chiara: “Sono persone per le quali il mangiare non è un momento distensivo, né di “condivisione” secondo una narrazione che piace a molti. Distensione, convivialità sono stadi differenti, arrivano dopo il nutrimento che, l’abbiamo detto, è di suo un lavoro complesso.”
Stefano: “Sostanza e circostanza? Mi viene in mente Vicente Cabrera, un artista molto attivo come volontario con RePoPP, con noi, anima del Rescue Project e che durante il primo lockdown nell’ambito di Guarda Oltre ha ideato il Canta Oltre, concerti di pochi minuti tenuti in strada in concomitanza con la consegna dei pasti… quante pagine abbiamo?”